venerdì, ottobre 27, 2006

Il monastero di Lantay

Genere: fantasy

Questo è il primo racconto da me scritto che abbia ricevuto una "veste digitale", e se non ricordo male dovrebbe essere del 2002.
In realtà non lo giudico granchè e credo che sopratutto verso il finale prenda una piega troppo da sessione di D&D, per chi sa cosa intendo.
In ogni caso lo posto più per una questione di completezza che per altro.


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Buona lettura.




Il monastero di Lantay



- Correre, correre non c’e altro da fare.

questo pensava mentre correva, inciampava, si rialzava, rivoli di sangue lungo le gambe, lividi; non importava.

- Se voglio vivere devo correre, non v’è altro da fare. Sento i loro aliti sul mio collo, mi sono vicini. Correte gambe, muovetevi!

La luna era già alta sulla foresta, il silenzio degli animali intorno a lui, totale; gli unici rumori erano fruscii, passi, le grida, o meglio i grugniti degli orchi.

- Trovatelo, dannazione! Restate vicini, solo dio sa cosa potrebbe fare se ci cogliesse impreparati.

Le ore passavano ma lui non accusava la stanchezza della corsa, il sole si alzava lentamente con i suoi raggi pungenti agli occhi abituati oramai all’oscurità. La temperatura si alzava e una densa foschia avviluppava gli ultimi metri della foresta, oscurando i particolari della vallata ormai vicina.

Dopo alcuni minuti una costruzione favolosa dai colori cangianti che si estendevano sino alla sommità delle sue alti torri appuntite iniziò a far capolino in lontananza, imponendosi in quell’ormai monotono scenario. La contemplò per alcuni secondo schermandosi gli occhi dal sole con le sue mani callose, poi ricominciò a correre.

- Sarà un monastero o qualcosa di simile - pensò mentre si asciugava la fronte sudicia e imperlata di sudore con una manica della sua camicia oramai logora.

Alla porta fu accolto da un uomo dalla testa rasata, con una lunga barba bianca che scendeva lungo un saio grigio adornato da un'unica fascia trasversale del colore della terra; alcune rughe erano scolpite sul suo viso e le sue braccia vecchie e venose davano l’impressione di essere stati molto forti, un tempo. Il suo volto era attraversato da un largo sorriso rivolto all’uomo che si avvicinava con un’andatura oramai lenta e tranquilla.

- Benvenuto al monastero di Lantay giovane straniero, io sono Amrax - disse il monaco scrutandolo.

- Ho bisogno di aiuto, sono esausto, è tutta la notte che fuggo senza sosta…

- Non aggiungere altro - disse il vecchio interrompendolo - la tua marcia deve essere stata lunga e faticosa viste le condizioni in cui ti trovi, ma non preoccuparti, qui riceverai cure, un piatto di minestra e un posto dove dormire. Poi parleremo.

Il giovane lo guardò respirando profondamente.

- Accetto volentieri.

Il monaco condusse il giovane lungo una sala dalle dimensioni impressionanti, probabilmente adibita alle preghiere. Era costituita da tre navate, i due camminavano lungo quella centrale, la quale si separava dalle laterali grazie a due lunghi e fitti colonnati; le alte colonne in marmo erano decorate da affreschi rappresentanti battaglie di ogni genere combattute da strani uomini che al giovane ricordavano incredibilmente il suo nuovo “amico”. Sulle pareti della stanza, enormi mosaici, raffiguravano draghi scuri, neri come la notte, ombre dalle dimensioni incommensurabili che davano l’impressione di nutrirsi della luce che penetrava dalle enormi finestre poste sulla parte superiore delle pareti stesse.

-Tre di quei draghi – disse il monaco – si stabilirono in questa valle 200 anni fa e una spedizione di nobili guerrieri fu inviata per fronteggiarli prima che avessero la possibilità di riprodursi, ci fu una battaglia leggendaria, molti perirono nell’impresa, ma anche uno dei draghi, perse la vita; gli altri due fuggirono oltre le montagne.

Il giovane annuì. Dopo essersi cambiato fu condotto nella sala da pranzo, il vecchio porgendogli una minestra calda.

- E ora narrami del tuo viaggio, cosa ti ha portato qui?

- Sono un contadino ,vengo da un villaggio sulle montagne che fiancheggiano questa vallata - rispose distrattamente il giovane mentre divorava in suo pasto – e sono terribilmente stanco vecchio. Indicami un posto dove dormire.

Il monaco rimase perplesso dalle risposte del giovane.

-Ma si, certo… ti accompagno subito alla tua stanza.

Nella sua camera, il contadino si lanciò sul letto e iniziò a pensare al da farsi, quando dei rumori attirarono la sua attenzione; la curiosità vinse la stanchezza così, il nostro, si affacciò alla sua camera e accertatosi che la via fosse libera, iniziò a percorrere il lunghi corridoi del monastero seguendo i rumori che si facevano via via sempre più intensi. Continuò a salire e scendere rampe di scale, finchè :

- Ecco, di qualsiasi cosa si tratti, proviene da dietro questa porta.

Aprì la porticina in legno di quanto bastava per poterci infilare la testa e rimase abbagliato dallo spettacolo: si trattava di un’ampia sala piena di attrezzature mai viste. Dei monaci, vestiti con abiti simili a quelli di Amrax, compivano evoluzioni di ogni genere e combattevano tra loro utilizzando dei bastoni con un’abilità impressionante. Il parquet che ricopriva il pavimento era oramai danneggiato ed eroso, forse dai continui movimenti che eseguivano i monaci evidentemente per diverse ore al giorno.

- Ora so cosa fare – pensò ritornando sui suoi passi soddisfatto per la scoperta.

La notte passo in fretta e al mattino il giovane corse da Amrax e si scusò per il suo comportamento del giorno prima giustificandolo con l’enorme stanchezza che aveva accumulato durante il giorno. Il monaco lo esortò a lasciar perdere dato che aveva perfettamente compreso il suo stato d’animo, piuttosto gli chiese se fosse disposto ad accompagnarlo al giardino del monastero per cogliere delle erbe che sarebbero state utili per la preparazione del pranzo.

- Ben volentieri – rispose il contadino.

Il giardino era enorme, come ogni cosa in quel posto. Al centro vi era una fontana alta cinque metri o più dalle rifiniture dorate dominata da una testa di drago da cui sgorgava acqua limpidissima. La sua circonferenza si fondeva con la vegetazione circostante rendendola quasi parte di essa. Strane piante si arrampicavano dappertutto con fiori dai colori sfavillanti e sempre diversi.

Qua e là lungo i sentieri che i due percorrevano vi erano piccole colonne in stile romano con tanto di capitello, alte circa un metro, sulle quali erano disposte piante particolari, dalle svariate proprietà magiche e guaritrici.

-Amrax - iniziò il giovane – ieri hai chiesto di conoscere la mia storia ma il mio animo era troppo urbato e il mio fisico troppo provato per parlarne. Mesi fa un gruppo di maghi malvagi si riunì a nostra insaputa alle porte del nostro villaggio. Con i loro poteri hanno innalzato un’enorme cupola magica che ha portato gradualmente alla distruzione delle nostre colture e prima che potessimo fuggire la sua circonferenza era già presieduta da un’orda di 400 orchi al servizio dai maghi stessi. Da alcuni giorni ci hanno rinchiusi nelle nostre case e ci stanno massacrando uno dopo l’altro senza pietà per donne o bambini. Solo io sono riuscito a fuggire e sono alla di sperata ricerca di aiuto.

- E quale sarebbe il motivo che giustificherebbe tale infamia? – disse Amrax interrompendo l’agile movimento del suo falcetto con cui prelevava le erbe che gli occorrevano.

- Non riesco ad immaginare quale possa essere la ragione per un simile atto.

- Ti aiuteremo noi - sentenziò Amrax.

- E cosa potreste fare voi monaci contro degli orchi assetati di sangue? – ribattè il giovane incerto.

- Diffida delle apparenze ragazzo. Si è vero, siamo monaci, ma la vita in queste lande è ardua e bisogna essere pronti per ogni evenienza, anche a combattere, se è necessario.

- Vuoi dire che sareste capaci di liberare i miei compagni? Di farli fuggire?

- Dovrei consultare i miei fratelli, ma credo che saranno ben felici di aiutarti. Quante possibilità ci sono di introdursi nel villaggio? E quante persone si tratterebbe di trarre in salvo?

- Oramai i sopravvissuti non dovrebbero essere più di una quarantina, riuniti in un enorme capannone. Di notte la guardia è affidata ad una ventina di orchi, senza contare che gran parte dell’orda è disseminata per la foresta circostante alla mia ricerca. Se i tuoi fratelli sono validi come dici e ci muoviamo in fretta e silenziosamente ci sono buone possibilità di riuscita.

Quel giorno fu di grande felicità, sentiva che presto avrebbe riabbracciato i suoi compagni, sapeva che i monaci ce l’avrebbero fatta, aveva visto la loro abilità, anche in dieci avrebbero potuto avere la meglio su venti orchi e maledisse la debolezza dei suoi compagni e la sua.

I monaci non ci pensarono due volte, era un onore poter mettere la loro abilità al servizio di un gruppo dei poveri contadini, così, il giorno dopo, si definì un piano per poter irrompere silenziosamente nel campo, liberare tutti e fuggire velocemente. Si decise che venti monaci si sarebbero recati al villaggio e gli altri validi combattenti, nonché gli anziani, sarebbero rimasti al monastero.

Il viaggio richiese tre giorni di cammino al termine dei quali il drappello armato di bastoni archi e pugnali si accampò nella boscaglia in attesa della notte. Calate le tenebre si avviarono, gli unici passi a rimbombare nella foresta erano quelli del contadino, visto che i monaci si muovevano con una leggerezza al di fuori del comune.

Dopo alcune ore giunsero nei pressi del villaggio, una cupola enorme dai riflessi smeraldo emergeva nell’oscurità: era uno spettacolo impressionante che lasciò tutti i monaci a bocca aperta.

-Non preoccupatevi – disse il giovane – la si può attraversare senza alcun problema semplicemente camminateci contro senza timore – poi aggiunse indicando una direzione tra le fronde – ecco quello lì è il capannone. Gli orchi sono esattamente venti come ricordavo.

In un attimo dieci monaci si portarono strisciando alle spalle di dieci orchi, gli altri dieci incoccarono le frecce; un segno, un gemito, all’unisono dall’oscurità partirono le dieci frecce. Un attimo dopo dieci orchi giacevano a terra privi di vita, contemporaneamente dieci pugnali sgusciarono fuori dai foderi, dieci schizzi di sangue, dieci carotidi squarciate. La via era libera. Il giovane contadino corse verso il capannone, aprì le porte, e i suoi compagni in una silenziosa processione iniziarono a oltrepassare la barriera magica. Ma un grido ruppe il silenzio.

Garto, un giovane monaco, aveva fallito, l’orco colpito dal suo pugnale era ancora vivo e gridava, lamentandosi e contorcendosi nel fango, una freccia fulminea pose fine alle sue sofferenze ma oramai era troppo tardi.

Gli orchi si erano destati e ora correvano verso di loro ringhiando e sventolando le loro pesantissime asce nell’aria. Mancavano una decina di uomini e poi tutti sarebbero stati fuori dalla barriera. Cinque monaci si frapposero tempestivamente tra i fuggiaschi e gli orchi che sbraitavano con le loro voci rauche.

- Cosa fate! Maledetti! Morirete tutti per questo, morirete tutti!

Il primo orco si lanciò sul monaco, la sua ascia si abbattè ma il monaco parò prontamente con il suo bastone e con un abile movimento lo proiettò con straordinaria violenza sul capo scoperto dell’orco che si squarciò in due; un secondo monaco cavò un occhio ad un orco mentre con una freccia ne trafiggeva un altro ma presto un fendente giunto chissà da dove gli aprì lo stomaco spargendo le sue budella sull’ erba umida.

Presto i cinque furono sopraffatti, i loro compagni piangevano la loro perdita ma continuavano a correre verso il monastero seguiti dai contadini liberati. Garto durante la corsa si volse indietro per valutare quanta strada erano riusciti a porre tra loro e il nemico, ma si accorse con stupore che gli orchi non li stavano seguendo, bensì erano fermi e si dimenavano strappandosi lembi di carne a morsi, e agitando nell’aria le loro armi, rimanendo sul limitare della barriera senza osare attraversarla.

Un mattino di tre giorni dopo i monaci stremati e i contadini, giunsero in vista del monastero, dove la festa era iniziata già da un po’ poiché il loro arrivo era stato preannunciato dalle vedette poste sulle torri.

Dopo un’ ora di preghiera per i caduti, fu dato un grande banchetto all’esterno del monastero, e Amrax, con le guance visibilmente arrossate dal vino, abbracciato il contadino lo invitò a fare un discorso, e la sua proposta fu accolta da tutti con uno scrosciare di risa e applausi.

Il giovane si alzò in piedi e iniziò.

- Vi ringrazio, per i servigi che avete resi a me e alla mia gente, senza di voi, non avremmo mai potuto riconquistare la libertà e riabbracciarci nella sicurezza di non dover temere più alcun male. Già… la libertà. Prezioso bene che ci era stato tolto da quei maledetti orchi che hanno sterminato e schiavizzato i miei compagni e da quella maledetta cupola che mi ha confinato per tutto questo tempo in umili, deboli spoglie mortali, impedendo a me, A ME, Lortod signore dei draghi oscuri di assumere le mie reali fattezze.

Il silenzio più assoluto si impadronì della sala. I volti dei contadini iniziarono a cambiare forma, a deformarsi fino a squarciarsi con tutto il loro corpo. Esseri oscuri crescevano all’interno delle loro viscere e si sviluppavano, finchè i presenti non si trovarono di fronte a quaranta draghi, dalle dimensioni gigantesche, tra i quali si ergeva Lortod, enorme e ricoperto dalle sue squame nere come la notte e dai riflessi dorati.

Tutti i monaci si ritrovarono attanagliati in una morsa di terrore indescrivibile: tentavano di fuggire, gridavano, ma non c’era nulla da fare, presto i loro corpi furono dilaniati e divorati.

Poco dopo del monastero non restavano che un cumulo di macerie. Secoli di vita del monastero di Lantay erano stati spazzati via in pochi minuti dalla furia dei draghi.

-A quanto pare eri tu a dover diffidare delle apparenze, vecchio – pensò il signore dei draghi.

Dopo che ebbero banchettato a modo loro un drago si avvicinò a Lartod.

-E ora mio signore?

-E ora tocca a quei maledetti maghi, nessuno dovrà più osare qualcosa del genere. Riprendiamoci le nostre montagne!

Le ali dei quaranta draghi si dispiegarono, le quaranta fiere si proiettarono in cielo oscurando per un attimo con le loro ombre tutta la vallata.

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