mercoledì, novembre 01, 2006

Realtà celate

Genere: horror

Questo racconto è stato pubblicato anche su decerebrati.it sotto lo pseudonimo di Macchia Nera.
Lo trovate QUI!

Se preferite potete scaricare il testo in versione pdf

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Buona lettura.




foto realizzata da A. Bardi


Realtà celate.

Il taxi lasciò la statale appena fuori Bucarest per imboccare una stradina di sterrato. Il sentiero era fangoso e presto la folta vegetazione che lo circondava fu sostituita da baracche di lamiera.

L'autista, obeso, dai lineamenti marcati e dalla carnagione olivastra pestò violentemente sul freno lasciando che la macchina si fermasse dopo esser scivolata per un buon metro su quella melma.



Luigi e Carlo si guardarono intorno: catapecchie, case semi costruite e un silenzio di tomba definivano lo scenario che si trovarono davanti. L'autista, allungò il braccio indicando una sorta di molo alla loro destra nascosto alla vista da un salice. I due scesero dal taxi che ripartì per la sua strada appena il tassista ebbe ricevuto da Luigi la sospetta cifra evidenziata sul tassametro.


Il clima rumeno in quella stagione era insopportabile: le nubi, perennemente addensate nel cielo, assorbivano la luce solare modificando i colori del paesaggio secondo opprimenti tonalità di grigio e l'umidità altissima, lasciava una sensazione insopportabile di caldo e appiccicaticcio.

Raggiunsero il molo e videro al centro del lago in lontananza il monastero di Snagov. Da quella distanza sembrava deserto.


Luigi estrasse una guida turistica da uno dei tasconi laterali dei suoi pantaloni e iniziò a sfogliarla per cercare di capire come fare per attraversare il lago, quando la sua attenzione fu catturata da Carlo che gli indicava una piccola imbarcazione che spuntava lentamente da dietro l'isolotto recandosi evidentemente verso di loro.


L’uomo, dall'aspetto allampanato e dal volto pallido ricoperto da una lunga barba nera, affiancò con fatica la barca al molo e chiese ai due 18 Lei per il trasporto sull’isola.

Poco dopo viaggiavano lentamente verso il monastero.

La pioggia cominciò a discendere copiosa sulle loro teste e la visuale si ridusse per diversi interminabili minuti alle sole putride acque che li circondavano.


Giunti a destinazione il barcaiolo scese pigramente a terra, assicurò l'imbarcazione con una corda al pontile e fece cenno ai due ragazzi di seguirlo.

Un piccolo monastero di anonima architettura sorgeva al centro dell’isola circondato da alcuni orticelli mal curati, da qui si dipartiva un sentiero in terra battuta che collegava la struttura ad una cappella verso la quale si diresse la loro guida.


- Comincio a capire perché non ci sono molti turisti - osservò Luigi terminando la frase con un sorriso che palesava la sua inquitudine.


Carlo annuì mentre entravano nella cappella seguendo l’anziano barcaiolo.


La cappella, anch’essa priva di qualsiasi rilevante elemento architettonico, era adornata all’interno da alcuni orribili affreschi sbiaditi rappresentati scene di sanguinose battaglie; al centro un piccolo rilievo rettangolare in marmo circondato da alcune candele copriva quella che doveva essere la famosa tomba di Vlad l’impalatore.


- E’la tomba di Vlad Tepes? - Chiese Carlo


Il vecchio che si era fermato sul portone d’ingresso annuì, mentre al suo fianco sfilava un gruppo di preti incappucciati che si radunò silenziosamente in un angolo della chiesa per pregare.


I due esaminarono attentamente la tomba su cui era incisa la sagoma di Vlad, visionarono gli affreschi, ma fu impedito loro di scattare foto all’interno quindi pensarono bene di uscire per visitare i dintorni. La pioggia era diminuita vistosamente, ma le nubi grigie ricoprivano ancora il cielo sino all’orizzonte, saette dalle sfumature bluastre solcavano il cielo ad intervalli irregolari.


Anche i dintorni non offrivano nulla di particolare ad i due turisti a parte un antico pozzo che sorgeva alle spalle della cappella; ad una catenella era assicurata una vecchia tazza di latta rovinata dal tempo probabilmente usata da tutta la comunità per prelevare l’acqua.


Il vecchio la calò facendola tintinnare diverse volte contro le antiche pareti del pozzo e la tirò su ricolma fino all’orlo porgendola ai due.


Luigi la avvicinò alle labbra, ma prima di bere la lasciò cadere a terra disgustato.


- Puzza di... rancido, è putrida!


Carlo si affacciò oltre l’orlo del pozzo: - Ma... viene su una puzza orrenda… di muffa e decomposizione. Che ci sia un collegamento tra il fondo del pozzo e la tomba?


- Non conoscete la leggenda a proposito dell’odore che emerge da questo pozzo? Molti turisti la conoscono - si intromise il vecchio – La leggenda dice che ogni due secoli, Vlad lascia la sua tomba e si aggira per l’isola in cerca di un sacrificio. Il cadavere viene poi gettato all’interno del pozzo. Questo sacrificio assicura all’isola la protezione di Vlad dal male che imperversa nella foresta di Snagov.


- Strano – esclamò Luigi consultando la sua guida turistica – qui non parla di questa leggenda, solo del mito dei vampiri legato alla figura di Vlad.


Il vecchio storse la bocca sdentata in qualcosa di lontanamente simile ad un sorriso: - Comunque sono leggende. Molto probabilmente l’acqua si imputridisce lungo il suo percorso passando da sotto la cappella.


Carlo annuì.


I tre si recarono di nuovo alla barca per far ritorno alla terra ferma.

Prima di salire sull’imbarcazione l’uomo guardò il cielo ed osservò il tetto di nubi che li ricopriva, mentre la pioggia ricominciava a cadere con violenza.


- La pioggia scende fitta sulla foresta. Manca poco al calare del sole e l’orario di visite termina improrogabilmente un ora prima del tramonto… come il servizio taxi di questa zona d'altronde. Forse è meglio che rimaniate qui per la notte. Il posto è asciutto e sicuro.


Il vecchio si strofinò le mani e si avvolse con forza nel proprio impermeabile mentre guardava i due cercando ancora una volta di definire un sorriso sul suo volto.


Nonostante la titubanza a riguardo di Luigi, decisero di declinare l’invito e chiesero di essere riaccompagnati al molo.


La pioggia cadeva con un violento frastuono che quasi copriva le loro voci mentre tentavano di chiamare un taxi, ma sembrava che la foresta di Snagov non fosse coperta dalle reti dei loro cellulari.


- Entriamo in uno di questi cantieri e chiediamo se hanno un telefono- disse Carlo.


Si affacciarono ad una struttura che probabilmente sarebbe, primo o poi, dovuta diventare un masseria o qualcosa del genere, ma sembrava non ci fosse nessuno. Porte divelte e pareti semi intonacate dimostravano che probabilmente i lavori erano in corso.


- C'è nessuno? Dovremmo chiamare un taxi – echeggiò tremante la voce di Luigi all’interno.


Un rumeno di origine zingara magro e dal volto scavato fece capolino.


- Cosa volete? Non ci sono telefoni qui. Usate un cellulare se ne avete uno.


- Ma non funziona


- Ma si che funziona - rispose seccato mentre tornava all’interno dell’edificio in costruzione.


I due capirono che la discussione non avrebbe avuto sviluppi e lasciarono il cantiere continuando a tentare di telefonare finchè si convinsero dell'inutilità dei loro tentativi.


Oramai in preda allo sconforto, si sedettero sotto il salice nei pressi del molo cercando di ripararsi in qualche modo dalla pioggia e sperando nel passaggio di qualche macchina di turisti cui chiedere un passaggio o qualsiasi altra cosa che gli avrebbe permesso di raggiungere la città.


Doveva essere oramai sopraggiunta la sera ma le tonalità di grigio che definivano il paesaggio rimanevano le stesse, come se quella porzione del mondo fosse esente dallo scorrere del tempo.

Erano seduti lì da ore ed oramai erano fradici e stremati.


Lentamente alcuni zingari uscirono dalle baracche in lamiera appropinquandosi ai due che si alzarono in piedi.


Si posero intorno a loro ad alcuni metri di distanza e uno di loro che camminava aiutandosi con un bastone si fece avanti di qualche passo.


- Siete italiani?


I due annuirono, mentre si guardavano intorno preoccupati .


- Avete del denaro? Posso portarvi a Bucarest con il mio carro. Ho un cavallo in quella baracca, guarda - si avvicinò e tirò Luigi per una mano indicandogli una stalla. Il ragazzo, oramai a pochi centrimetri dal suo volto, si ritrovò investito dall'alito pestilenziale dell'uomo il cui corpo emanava un lezzo di carne in putrefazione e si accorse che mentre parlava le sue gengive giacevano distaccate dai denti all’interno della bocca, come accade nei cadaveri dopo alcune settimane.


Tentò di divincolarsi , di staccare la mano del mostro dal suo polso, ma ottenne solo di portar via brandelli di pelle morta.


Terrorizzato si voltò verso Carlo in cerca di aiuto, ma era troppo tardi.


Luigi si voltò e vide la testa di Carlo fracassata mentre due di quegli esseri ne risucchiavano il cervello, aiutati dallo zingaro del cantiere che lo teneva bloccato al terreno.


Mentre i suoi occhi si spegnevano sotto la fitta pioggia di quel giorno dannato Luigi intravide in lontananza il vecchio barcaiolo al sicuro sull’isola del Monastero di Snagov e gli parve, che un velo di delusione gli stesse oscurando il volto.


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